venerdì 14 aprile 2006

Sperimentò oniricamente la morte, la sua morte: stacco dal corpo, slancio gioioso e umile verso il seno di Dio. Slancio prodotto e sostenuto dal Suo misericorde Amore.


Dal suo corpo vide sganciarsi il suo corpo vero: morbido, lieve, vellutato, luminescente, freschissimo. Si riconobbe in esso. Era assolutamente sveglio.


Solo deserto, nient’altro che deserto. E in questo deserto, sotto il sole implacabile, avanzava lentamente un uomo, rivestito di una tonaca nera. Un missionario? si interrogò il piccolo, che il giorno prima aveva chiesto a Dio di conoscere il proprio futuro.
Col tempo capì che il protagonista di quel deserto e di quel sogno era un profeta.


Di fronte al Tabernacolo fu colto dal canto in lingue e vide. Uno stuolo di cavalieri biancovestiti, proiettati verso l’orizzonte, attraversavano a briglia sciolta, lievi e veloci, la distesa desertica. Più tardi vi lesse quel movimento profetico ed evangelico, che, a partire dal Vaticano II, avrebbe scosso la chiesa di Costantino.


Gesù attendeva il Regno, ma il Regno non venne. Così gli esegeti. Io, invece: Gesù attendeva il Regno ed è venuta la Risurrezione. La Sua, in nuce la nostra.


Gesù Figlio di Dio. Parecchi dicono: figlio di Dio come tutti i figli di Dio.
A guardare profondamente le cose, Gesù Figlio di Dio è solo un’immagine difettiva.


Karl Rahner definisce l’uomo “spirito incarnato”. Io: “spirito carneo” ossia di carne. “Incarnato” è troppo allusivo all’iniziativa autonoma del Verbo. Iniziativa impossibile all’uomo.


Giuda amava e odiava Gesù. Ne amava la personalità, ne odiava l’“ingenuità” politica. Un’ipotesi.

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