sabato 31 gennaio 2009

Malestri rabbiosi del Nemico. Acqua copiosissima e debordante nelle mani rispetto al getto normale del rubinetto. Notare di sera in camera chiarore, serranda e tendina aperte. E dopo qualche attimo verificare il buio più pesto, con la serranda e la tendina chiuse, così come erano state lasciate.

 

Gesù lo stava disponendo alla visione solare e frequentissima del mostro, dell’Informe e delle sue forme.

 

Martini aveva presentato Benedetto XVI, appena eletto, come il papa delle sorprese. Quindi Martini sapeva.

 

Il futuro e attuale ministro vaticano della Cultura, il prelato brillante e imbrillantato, facondo e infecondo, ha sempre taciuto. Pur sapendo.

 

Volpeggia e volteggia Fisichella in tv sull’ossimoro Ratzinger-Concilio.

 

S’abbuffano alla mensa degli onori ecclesiastici i puttani di Dio.

 

Gli stalloni lefebvriani invadono Troia attraverso la cavalla dalla fica d’oro, la checaritomene del Polacco.

 

Monsignor Pera, il profeta del Latente.

 

Martini, l’uomo aliquidale, il profeta del qualcosa. “Possiamo essere critici di Benedetto XVI in qualcosa”: sparò agli esercitanti di Galloro. Sparò sorridente mite spirituale trallallera trallallà.

 

Fra opusdeisti e lefebvriani sculetta sgonna e ballonzola maga maghina maghella magò. Sullo sfondo, sotto una luna stralunata, la collina delle Apparizioni di Medjugorje.

 

Mentre l’Opus Dei gattona felpato, la Fraternitàbaritoneggia  da primadonna. Ormai la chiesa è una latrina medievale.

 

La Fraternità ha appreso e bevuto da Benedetto XVI l’ipocrisia: sì al Vaticano II, non a quello reale, ma a quello interpretato.

 

Se Dio stesso abbracciasse le ginocchia d’un Fisichella o d’un Ravasi o di qualsiasi vescovo nostrano e non, se Dio stesso li scongiurasse di parlare, ne riceverebbe al più un imbarazzato silenzio. Eminenze ed eccellenze sono simillime ai nostri politici quando anteposero a Moro, il profeta politico italiano, le loro poltrone e forse le loro teste.

 

Quanti Andreotti, Cossiga, Zaccagnini fra i vertici d’Oltretevere, d’oltre Dio.

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