lunedì 2 marzo 2009

Gesù amava Giovanni. Entrambi individui, fiorivano in Persona, la stessa Persona, dualmente unica.

 

L’anno prossimo a Gerusalemme.

Chiara della chiarità del cuore

inumidisci di speranza

le labbra dell’uomo viandante

 

Padre, purificami. Rendi sempre più retta la mia volontà.

 

O Cielo

infinito fiore di luce

m’abbracci

e Gaia ride d’incenso

 

Tornò sul senso del chiaro di luna in quella notte illune, nel chiuso della sua stanza da letto. Il cuore adorò il Padre dei padri, soprattutto la Madre delle madri, la Donna delle donne, la Vergine delle vergini, la Poesia e la Vita, che si erano curvate sul certosino a baciarlo di luna.

 

Il digiuno fisico quaresimale ha senso come digiuno cristiano solo partecipando affettivamente al digiuno di Gesù nel deserto e anzitutto al digiuno di Gesù dall’Ultima Cena alla Croce, massimamente sulla Croce.

Ma il vero digiuno è guardare Gesù sulla croce e inabissarsi nel Suo cuore.

 

L’amore è digiuno di sé, fame e sete dell’Altro.

 

Gesù ha abbracciato autoviolentemente il piano del Padre su di Sé: la croce, seguita dalla risurrezione, come medium della più alta comunicazione ed esposizione “mediatica” dell’Amore. “Tutti” avrebbero guardato al Serpente in tremore di amore e di dolore, prosciugando il proprio egoismo e la propria indifferenza.

 

Due individui un’unica Persona. Gesù amava Giovanni.

 

Erri De Luca. Ho scritto e dimostrato che (il napoletano) possiede il verbo «andare» più veloce al mondo: i’. «T’ n’ ia i’», te ne devi andare: si vede che l’italiano la tira per le lunghe. E mi piace che usi il verbo tenere al posto di avere. Avere è un verbo presuntuoso, reclama un possesso garantito per legge. Tenere invece no: uno tiene, ma non è sicuro. Il napoletano sta sotto un vulcano violento e sopra un suolo sismico: ha nozione inculcata di precarietà. Tenere gli si addice più di avere.

 

Cesare Segre. I dialetti, si sa, nascono dalla frammentazione medievale e dall’evoluzione del latino… dal Trecento sino al Cinquecento, quello toscano, grazie alla spinta fornita da Dante e Petrarca, si afferma sugli altri, diventando, con Bembo e Ariosto, lingua nazionale tre secoli prima che l’Italia esista.

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