giovedì 3 agosto 2006

Il peccato originale per secoli ha calunniato Dio, complici papi, teologi e santi.


Lo scemo del villaggio gli confidò più volte con stupore intatto dal tempo e in termini sempre inalterati: “Ero in preghiera di fronte al Tabernacolo. La porticina si aprì. Ne uscì una voce possente: «Io sono Colui che sono.» Dal Tabernacolo si sprigionò una fiammata. Fra le fiamme una colomba.”. Il certosino si scusa coi suoi lettori di non aver riportato le parole nel loro dettato dialettale.


La fede deve essere il lievito della religione.


Ringrazio mio padre di avermi educato alla tenerezza dell’analogia dell’essere. Lui, umile artigiano-artista. Ricordo le sue lacrime furtive, fra la folla, di fronte alla via crucis d’un lontanissimo venerdì santo.


Non si può essere metafisici genuini senza rispetto e amore della realtà, tutta. Sino a desiderarne una competenza onnicompetente.


La filosofia dell’essere, aperto, però, ai giochi del divenire, è decisamente preferibile alla filosofia della natura, adottata oggi, purtroppo, dalla chiesa.


Era sempre più investito dalla luce dell’infinita differenza fra l’essere e il nulla. Percepiva al tempo stesso Dio superiore all’essere.


L’essere gli appariva come rete di essenze in divenire, mai statiche, mai prensibili, sempre intuibili.


Fede o religione? Nessuna opposizione di principio. La loro sinfonia è compito d’una pastorale geniale (che non è quella di oggi). Né Barth né un Bonhoeffer. Solo il loro meglio.


La stella del Messia è ormai all’orizzonte.


La legge della realtà e non del nulla: qui il fondamento sorgivo del pensiero e dell’amore, dell’umanità e della cosmicità. Qui il senso del tutto.


L’Analogia dell’essere è il frutto teoretico dell’Incarnazione e della Creazione.


Non c’è alcuna differenza ontologica heidheggeriana. Gli enti sono l’essere; l’essere è gli enti. La differenza vera è fra l’essere (o gli enti) e il nulla.

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