NO ALLE SCUOLE DI GENERE

Dal “Corriere della Sera” di lunedì 11 maggio 2009

di Eva Cantarella

 

Ho letto, sul Corriere di ieri, l’articolo intitolato «Maschi e femmine, classi separate». Ho pensato: ahimè, ci risiamo. Oltre duemilacinquecento anni fa, Esiodo parlava delle donne come di un ghénos (una stirpe) a sé, diversa da quella degli uomini. Non è stato il solo. Anche per Aristotele le donne erano diverse (persino nella temperatura corporea, più fredda di quella dell’uomo). Per gli antichi il mondo era fatto di «diversi»: uomini e donne, liberi e schiavi, cittadini e stranieri. L’epoca moderna ha introdotto il concetto di aree di eguaglianza, alla base della democrazia: luoghi fisici o istituzionali in cui si gode di pari diritti senza rinunciare alle differenze personali. Oggi si torna a parlare di diversità, e conseguente separatezza: classi, trasporti, quartieri separati…

L’argomento di fondo è sempre lo stesso: se separiamo uomini e donne, vecchi e giovani, neri e bianchi, residenti e nuovi venuti, tutti saranno più contenti e svilupperanno al meglio le proprie capacità senza confrontarsi con le disuguaglianze e i conflitti che esse creano. Ma nella società moderna la competenza sociale, come spiega Amartya Sen, comprende anche il sapere convivere con le diseguaglianze. Anche nella scuola, direi: le classi separate sono un arretramento nei rapporti fra generi. Uomini e donne, si dice, sono troppo diversi per poter imparare insieme le stesse cose. Non voglio entrare un dibattito che ha diviso per anni il mondo del femminismo, ma io non credo in una differenza che, così presentata, rischia di sembrare ontologica.

E’ chiaro che in una classe c’è chi impara a scrivere prima e chi dopo, che è più bravo in una materia e chi in un’altra: ma non si può assumere a principio universale che questi scarti siano legati al genere. Né mi convince l’argomento che, separati, sia maschi sia femmine rendano meglio. Nelle classi miste, si dice, i maschi sono dominanti: il rischio esiste, ma il rimedio non può essere la separatezza. Il mondo è fatto di donne e di uomini, le cui vite si intrecciano, non solo negli anni della scuola. E’ sui banchi della scuola che si imparano le regole della convivenza e del rispetto, e i maschi capiscono (o dovrebbero) che non è vero che «gli uomini sono più adatti al comando», come diceva il buon Aristotele. E’ a scuola che si impara che il rapporto uomo/donna non è solo sessuale. Le classi separate creano mondi fittizi, che, nell’età delicata della formazione, possono far percepire l’altro sesso in modo deformato da fantasie e stereotipi. A scuola si impara che un uomo e una donna possono amarsi, ma possono anche essere amici, indipendente- mente dalla differenza di sesso.

A differenza di Esiodo, mi piace pensare che oggi siamo un ghénos solo, ciascuno con le proprie diversità, di genere e individuali: ma parte di uno stesso mondo, nel quale possiamo e dobbiamo convivere in tutte le stagioni della vita.