PIER PAOLO PASOLINI: LA LUCE E L’OMBRA

Da RIFORMA – Venerdì 17 luglio 2009

 

Sono passati più di trent’anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini. Quando è morto io avevo nove anni, ero a casa con mio padre e mia madre, il telegiornale della sera in sottofondo. La notizia l’abbiamo solo vagamente percepita, mio padre ha alzato il volume della televisione (televisore in bianco e nero, senza telecomando) e allora era proprio vero: avevamo sentito bene, non solo Pasolini era morto ma era stato ammazzato. Ricordo ancora la voce roca del cronista che dava la notizia accompagnata da immagini che facevano vedere il corpo di Pasolini straziato e abbandonato in un campetto. Un corpo circondato da poliziotti che svolgevano i loro rilevamenti sul luogo del massacro e una massa di curiosi che li attorniavano rendendo il loro lavoro più difficoltoso, e sicuramente contaminando le tracce e le prove che avrebbero dovuto fare chiarezza su un delitto così efferato e di cui a tutt’oggi non si hanno conclusioni certe, sul quale perlomeno persistono numerosi dubbi relativi alla dinamica e ai responsabili. Un corpo che, nella drammaticità di una morte violenta, sembrava urlare una frase tratta dalla Bibbia: «Questo è il mio corpo» (Matteo 26, 26).

Il tema del corpo attraversa trasversalmente l’intera opera di Pasolini, oltre che naturalmente la sua stessa vita e morte. Esibito, offerto, amato, preso a bastonate, il corpo di Pasolini è il luogo privilegiato dell’epifania del sacro. Un corpo cristologico. Scrive Michael Hardt (teorico della letteratura e filosofo della politica americano): «Pasolini è affascinato dall’offrirsi senza pudore del corpo di Cristo sulla croce. Le sue ferite sono aperte. Tutto il suo corpo – petto, ventre, sesso e ginocchia – brucia sotto gli sguardi della folla. Al momento della morte, Cristo è tutto corpo, un pezzo di carne aperto, abbandonato, esposto». Nonostante questo donarsi, questa esposizione e offerta, sembra quasi che Pasolini non chiuda mai il discorso sulla sua opera. Ben prima che la sua morte violenta gliene impedisse il completamento, l’incompiutezza era stata un dato frequente nelle sue opere. Basti pensare ai molti testi dichiaratamente non finiti che Pasolini ha ugualmente dato alle stampe.

 

Il «non finito»

È per questo carattere di «non finito» che l’opera di Pasolini continua a disporsi sempre a nuove letture e riletture. Il caso Pasolini infatti è ancora avvolto da dubbiose tesi che hanno tenuto acceso il dibattito e lo studio di questo personaggio così controverso del mondo intellettuale e politico italiano. Da quella sera di novembre del l975 ho avuto una forte curiosità nei confronti di questo grande letterato. Una curiosità mai abbastanza soddisfatta e che un ragazzino di nove anni quale ero allora, carico dei suoi perché, voleva a tutti i costi soddisfare.

Oggi i miei perché continuano a ridondare nella mia testa e, crescendo, le domande ho imparato a farmele da solo. L’ampiezza e la varietà della sua opera hanno prodotto nel corso degli anni una grande mole di letteratura critica. E tuttavia a più di trent’anni di distanza dalla sua morte, Pasolini continua a essere oggetto degli studi più diversi, accademici e non. La figura di Pasolini va ben oltre il suo ruolo di scrittore, drammaturgo e di regista. Cerco di sapere quello che i libri, i giornali, i dettagliati siti web mi possono dire di Pasolini, testimonianze che mi aiutino a farmi ulteriori domande. Tutto ciò perché mi sembra che i dubbi siano ancora troppo pochi. Ho sempre desiderato in cuor mio che egli potesse diventare un punto di riferimento per tutti, ma chi mai vuole essere importante per tutti? Ecco altre domande che mi affollano la mente. Sicuramente di Pasolini, uno che aveva parlato e scritto e raccontato di tutto, le cose più importanti non le sapremo. Ci sono nella vita di una persona così esposta, così evidente, così discussa, cose importanti che non sapremo mai. Da anni leggo e schedo l’opera di Pasolini e mi faccio prendere da questa febbre della raccolta con l’ansia di non saperne abbastanza, di non poterne parlare, di non riuscire a delimitare tanta ricchezza di pensieri e di tormenti. Pasolini mi manca, o meglio ci manca. Ci mancano la sua critica, la sua poesia. Pasolini ha sempre cercato il contatto reale con la vita, con le persone reali e con la realtà sociale. Era un poeta impegnato nei confronti del genere umano, vicino alla gente. La qualità del suo impegno ha superato le frontiere italiane e ci aiuta a vedere meglio il mondo.

 

L’Italia di oggi

Oggi, nell’Italia berlusconiana, disfatta a volte nell’estetica e nella morale, Pasolini avrebbe avuto molte cose da dire. Avrebbe scritto forse un testo straordinario o girato un film terribile. Pasolini non ha visto questo mondo ma, in qualche modo e sotto molti aspetti, lo ha anticipato dandoci anche una chiave di lettura. Il suo ultimo film,Salò o le 120 giornate di Sodoma, un film insostenibile, ma terribilmente attuale, ci mostra e denuncia, secondo me, la deriva terribile della nostra società. Oggi sempre più abbiamo a che fare con un sistema che ha sacrificato la dignità e l’umanità per il denaro e l’apparenza. Proprio per questo, leggendo o rileggendo Pasolini, e benché sia morto più di trent’anni fa, oggi egli è particolarmente presente. Non gli bastava scrivere libri e girare film, aveva un gran difetto: ragionava ad alta voce dalla prima pagina di un importante giornale italiano, dove denunciava: «… Io so i nomi degli autori delle stragi… » e chiedeva un processo per coloro che da trent’anni erano al governo del Paese.

 

Quegli anni

Pasolini fu massacrato all’idroscalo di Ostia la notte del 2 novembre 1975 da un gruppo di persone che erano insieme a Pino Pelosi, il suo assassino «ufficiale». Quel massacro avvenne dopo decine e decine di attacchi, processi, censure, aggressioni, assalti. Ridurre la sua morte a episodio di natura sessuale significa disperdere la memoria di uno dei più grandi intellettuali politici italiani ma soprattutto smarrire la comprensione di quegli anni terribili. La morte di Pier Paolo Pasolini arriva invece al culmine di una guerra segreta che fu combattuta in Italia a colpi di bombe, stragi, progetti di golpe, depistaggi di Stato. Solo qualche data per ricordare il clima:

–       17 maggio 1973: strage della questura di Milano;

–       estate 1973: piano golpista della «Rosa dei Venti»;

–       dicembre 1973: stato di allerta delle caserme italiane;

–        28 maggio 1974: strage di Brescia;

–        4 agosto 1974: strage dell’«Italicus»;

–       agosto 1974: «golpe bianco» di Edgardo Sogno.

Impossibile invece fare quì un elenco completo delle aggressioni fasciste, degli. assalti, dei piccoli attentati, degli accoltellamenti… Verità e politica sono inconciliabili, nella strana situazione italiana. Pier Paolo Pasolini stava da tempo lavorando a un’opera che avrebbe sanato questa contraddizione con l’intento di unire l’inconciliabile:Petrolio. Un grande romanzo di 2000 pagine che doveva essere anche il «preambolo di un testamento», la sua ultima risposta al mondo. «… “Petrolio” contiene tutto quello che so, sarà la mia ultima opera: mi diverte moltissimo avere questo segreto…». Un libro-vertigine in cui confluiscono immaginazione e realtà, giornalismo e lettura, in cui, senza compromettersi, ci sono i fatti e i nomi. Doveva essere la sua ultima opera ma non poté essere conclusa perché la sera del lº novembre iniziò l’ultimo viaggio notturno di Pier Paolo Pasolini.

Per Pasolini quella fu una notte particolare, non una scorribanda alla ricerca di compagnia e di sesso, bensì la ricerca delle pizze rubate del suo film Salò. Lo racconta Guido Calvi, avvocato del Comune di Roma, Parte civile nell’ultima inchiesta (aperta e poi subito chiusa) sull’assassinio di Pasolini. Le pizze erano state rubate qualche tempo prima a Cinecittà. Era sparito Salò ma anche il Casanova di Fellini e una pellicola di Damiano Damiani. Quegli strani ladri avevano tentato il colpo, avevano richiesto un riscatto altissimo: 2 miliardi! Il produttore Alberto Grimaldi aveva respinto la richiesta anche perché le pizze rubate erano sì preziose, ma non uniche: si poteva stare senza. Ma Pasolini non rinunciò al tentativo. L’amico regista Sergio Citti ha raccontato prima di morire che Pier Paolo aveva ricevuto alcuni messaggi, aveva avuto la promessa che gli avrebbero restituito Salò, e gratis. Così lo attirarono nella trappola finale.

 

«Post mortem»

Pasolini in vita è stato molto odiato. Quasi un record, come le tante rivalutazioni post mortem. Pier Paolo Pasolini, nato a Bologna e ucciso a Ostia nella notte tra il lº e il 2 novembre 1975, cantò l’innocenza di un mondo rurale quasi perfetto, scomparso con l’avanzata della modernità. A Roma, dove si trasferì giovanissimo, lavorò come insegnante nelle borgate, cominciò a scrivere romanzi, poesie, saggi e a dirigere film. Incontrò i «ragazzi di vita» e li raccontò con un linguaggio crudo. Denunciò crimini di potere democristiano, liberalizzazione dell’aborto, televisione, pubblicità, consumi, politica scolastica. Insultato a destra, osteggiato dai cattolici, mal sopportato dalla sinistra, fu sempre comunista, ma dopo gli scontri di Valle Giulia a Roma stupì tutti parteggiando per i poliziotti, figli ignari e indifesi del popolo, contro gli studenti, figli della borghesia. Riscoperto poi dai politici, dalla destra e adottato dalla Lega, per via degli studi dialettali, continua a far discutere. Non smette di stupire. A più di trent’anni dalla sua scomparsa, Pier Paolo Pasolini manca a tutti, a chi l’ha amato, a chi l’ha conosciuto, a chi avrebbe voluto conoscerlo e a chi non farebbe male a conoscerlo. Manca molto anche a chi l’ha odiato e che spesso, per diverse ragioni, l’ha rivalutato. Probabilmente il fascino di Pasolini oggi sta anche nel suo essere eretico. La sua ostinata, angosciosa ricerca di comprensione della realtà, la speranza di arrivare a capire ciò che voleva, si sono trasformate fatalmente, come nel caso di altri eretici, in una spaventosa macchina da guerra di persecuzione, di esclusione e alla fine di condanna.

 

Massimiliano Picheca

scenografo del Teatro Regio di Torino

Questo articolo è disponibile anche in: Inglese