RISPONDO A MONS. DOMENICO PADOVANO

Mons. Domenico Padovano, vescovo della diocesi di Conversano-Monopoli, su “L’Informatore”, il mensile di maggio 2005, dichiara che le mie affermazioni teologiche «non stanno né in cielo né in terra».
Sono un folle perché sono un progressista. Sono un folle perché i progressisti sono dei folli.
E’ follia, per mons. Padovano, che io sostenga, fra l’altro, il celibato libero dei preti, il sacerdozio delle donne.
Sono folli tutti i teologi del dissenso. Soprattutto è folle quella chiesa, che, coniugando fede e laicità, spirito e storia, avanza, monta e diventa inesorabilmente maggioranza.
Sono folle perché sostengo che l’eucaristia va celebrata nelle case, sulla scia della pasqua ebraica, che vede protagonista il pater familias.
Il cristianesimo del futuro prossimo venturo è di carattere domestico, non templare: postula la presidenza eucaristica del pater e della mater familias.
Mons. Padovano si rilegga la prima lettera di Paolo alla comunità di Corinto, guidata non da un prete o da un apostolo ma da una donna, Stefana, probabilmente una madre.
Ne consegue ovviamente che a Corinto e altrove chi presiede la comunità presiede l’eucaristia stessa. Ergo l’eucaristia a Corinto viene celebrata in casa e presieduta dalla coppia ospitante o da uno dei suoi membri.
A questo punto mons. Padovano non mi accusi “ingenuamente” di eliminare l’istituzione dei presbiteri.
In prospettiva storico-epocale il cristianesimo vedrà fiorire nel suo seno il protagonismo inter-familiare: la chiesa sarà chiesa di chiese, cioè chiesa di famiglie. Ai presbiteri, mobili e itineranti, spetta il ministero della direzione e del coordinamento, soprattutto l’illuminazione teologica e l’animazione spirituale attraverso la Parola, riservandosi la presidenza eucaristica a occasioni solenni. Non sono solo un folle, ma anche un “irregolare” ossia un indisciplinato: scardino il diritto canonico.
Mons. Padovano nell’intervista ha volutamente ignorato che il mio primo incontro con lui fu improntato a lealtà e a schiettezza: gli dissi che il Signore mi aveva consacrato profeta. Dovevo essere libero da ogni legame ufficiale per essere totalmente disponibile al mio mandato: parlare chiaro e forte di fronte al tradimento del Concilio.
La mia lealtà e la mia franchezza mi sono costate per anni derisione e disprezzo, solitudine ed emarginazione.
Mentre passavo per esaurito di fronte a tutta la cittadinanza, mons. Padovano s’è ben guardato dall’aiutare un esaurito: eppure avevo rinunciato ad ogni stipendio ecclesiastico e alle pingui offerte delle messe, investendo sulla povertà e sulla fiducia in Dio.
Singolare condizione la mia: tacciato di esaurimento e accusato d’indisciplina canonica.
Ho sperimentato l’inaudito: un moribondo cercava il mio volto e il mio conforto. Gli sono stati negati: ero esaurito, ero inaffidabile, ero eretico. Una ragazza era scomparsa da Monopoli: la polizia mi ha cercato. Ero ormai oggetto di nefandi sospetti, fatti circolare ad arte in ambienti clericali e curiali. Ero diventato l’autore di messe nere e di orge. Ero un alcolista. Mi restava soltanto il nome ma infangato e da infangare.
Sin dall’inizio ho avuto chiara contezza che il mio punto di riferimento ufficiale non poteva essere un vescovo, ma la Santa Sede. La profezia, di cui mi ha investito Gesù Cristo, è incompatibile con gli orizzonti diocesani.
L’intervista di mons. Padovano, in sintesi e in definitiva, ha massacrato verità, teologia, spiritualità, pastorale, umanità.
Ma soprattutto lo Spirito.

Sac. Dr. Franco Ratti

Questo testo riceverà su Internet la stessa diffusione internazionale del comunicato congiunto del Congresso di Chianciano contro mons. Domenico Padovano.

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