SCACCO AL PAPA

L’espresso, Nr 17, 29 aprile 2010

SCACCO AL PAPA

Colloquio con Vito Mancuso di Daniela Minerva

È la figura sfuocata di un papa vecchio, minuto. Troppo spesso stonato con un mondo che non capisce, che gli sfugge di mano, che sembra interessarlo poco. In cinque anni di pontificato, Benedetto XVI ha spinto la sua Chiesa verso un regno che non c’è più. Ha voltato le spalle alle grandi questioni della modernità. Ha deluso milioni di cattolici. Per accarezzare l’intelligenza di pochi che cercano nella sua teologia antica una cintura di salvataggio dal mondo. Le lacrime di Malta raccontano anche questo, non solo il suo dolore per la “Chiesa peccatrice”. Perché, mentre Benedetto celebra, e a volte lo fa, le sue messe in latino voltando fisicamente le spalle ai fedeli, la Chiesa universale si sfrangia umiliata dallo scandalo dei preti pedofili, assordata dalle troppe voci dissonanti dell’Africa che non riesce a chiedere il celibato ai suoi preti, dei giovani disorientati da una morale sessuale incongrua, dei vescovi europei lacerati da un magistero che pende verso i lefevriani e ignora il dialogo coi luterani. E sono in molti ormai a parlare apertamente di un travaglio che rischia di non ricomporsi. Tra di loro anche il teologo Vito Mancuso, professore all’Università Vita-Salute di Milano, che se lo spiega così.
Professor Mancuso, il pontificato di Benedetto XVI è al centro di una bufera che ha portato allo scoperto una crisi d’identità senza precedenti, almeno nel nostro tempo. Perché? E con quali conseguenze?
“Questo travaglio legato allo scandalo della pedofilia è qualcosa di unico nella storia della Chiesa, almeno negli ultimi 200 anni. Un pericolo così grande di perdita di credibilità non c’è mai stato, la statura morale del pontefice non è mai stata così compromessa. Ed è quella che conta, che àncora le anime dei fedeli. E dà forza, per parafrasare Stalin, alle divisioni del papa”.
Perché è esplosa proprio oggi?
“Perché non si poteva più tacere, occultare, insabbiare. È stato monsignor Stephan Ackermann, vescovo di Treviri, responsabile della Conferenza episcopale tedesca a usare le parole “occultamento” e “ insabbiamento”; e André-Mutien Léonard, vescovo di Bruxelles e primate del Belgio, ha parlato di “colpevole silenzio”. Un silenzio posto dalla lettera dell’allora cardinale Joseph Ratzinger nel 1991 con la quale si è coperto lo scandalo. È vero che le decisioni prese in questi giorni sono ineccepibili, ma drammaticamente tardive”.
Lo scandalo ha detonato una crisi più profonda o si chiude in se stesso?
“Certamente è in corso un conflitto enorme. Noi dobbiamo capire qual è la stagione storica in cui si colloca il pontificato di Benedetto XVI: quella del Concilio Vaticano II, celebrato tra il 1962 e il 1965. Il Concilio ha posto le premesse per chiudere quattro secoli di Controriforma, secoli nei quali l’identità cattolica si concepiva in contrapposizione al mondo lasciando fuori le idee nuove e le esperienze dei fedeli, e aprire il tempo della Riforma, durante la quale l’identità cattolica si costruisce col mondo, con la vita reale delle persone. Per valutare l’opera di Benedetto XVI bisogna partire da qui, dal criterio oggettivo che lui stesso ha indicato quando ha detto che l’orientamento del suo pontificato sarebbe stata la realizzazione del Vaticano II, che egli ha definito la bussola per orientarsi nel Terzo millennio. Ma, se questo è il criterio oggettivo, non mi pare che il bilancio del pontificato sia entusiasmante. E i dati indicano la progressiva perdita di fiducia dei fedeli: in Germania un cattolico su quattro sta pensando di lasciare la Chiesa. Lo stesso crollo si ha negli Usa. Benedetto è il pontefice di una Chiesa che sta diventando un club per pochi”.

 

Quali sono stati gli errori più gravi del suo pontificato?
“Pensiamo al rapporto con le altre religioni: è un fronte stategico. Oggi il papa è chiamato soprattutto a essere un grande maestro di spiritualità: il nostro mondo ne ha bisogno per unire, armonizzare le religioni e favorire la pace. È invece sotto gli occhi di tutti come,     nei cinque anni di pontificato di Ratzinger, il rapporto con l’Islam non abbia fatto passi avanti. Come le relazioni con gli ebrei siano peggiorate: non passa giorno che non se ne abbiano segni concreti. Infine, è significativo che il papa non abbia mai incontrato il Dalai Lama, che è venuto in questi anni due volte a Roma e che Giovanni Paolo II aveva incontrato nove volte. Si usa dire che questo è accaduto per evitare persecuzioni dei cattolici in Cina, ma delle due l’una: o Giovanni Paolo era uno sprovveduto e ha esposto    i fedeli cinesi, o Benedetto prova un profondo disagio nei confronti di un vero dialogo interreligioso”.