sabato 1 marzo 2008

George Steiner: “Per oltre duemila anni, gli ebrei non hanno torturato nessuno e questo faceva la loro gloria tragica. Adesso per sopravvivere – voglio sottolinearlo: per sopravvivere – Israele deve umiliare e talvolta infliggere dolore ad altri esseri umani. Ciò macchia questa “nobiltà” del nostro popolo, di cui sono stato sempre fiero.

So bene che per molti ebrei dopo la Shoah questa nascita di una nazione si rendeva necessaria. Ma io sono convinto che Baal Shem Tov, uno dei maestri del chassidismo, avesse ragione: la verità è sempre in esilio. Fermarsi in una nazione armata fino ai denti significa diventare uomini ordinari.”

 

Per trasformare cristicamente le cose il Signore Gesù non ha bisogno di “venire”, ma di “inter-venire”.

Insomma nessuna sceneggiata cristica.

 

Il “rapimento” paolino è mitografia teologica. Tentativo di esprimere l’inesprimibile della onnitrasformazione cristica.

Senonché, nonostante la tensione al traguardo, si rimane inchiodati alle griglie di partenza. Si rimane al palo della parabola teologica.

 

Siamo nella foschia del mistero, rotta qua e là dai lampi della verità.

 

Il Sole, incarnandoSi, s’è vestito di foschia, diradandola in momenti puntualissimi e specialissimi (miracoli, trasfigurazione, risurrezione). Senza mai sopprimerla.

 

Assetati di sole, abitiamo nell’enigma. Custodendo negli occhi e nel cuore le frecce d’oro, che a tratti lo squarciano.

 

Le immagini, fragili sorelle di fratelli impotenti, i concetti.

 

McCain cantava: «Bomb bomb bomb; bomb bombIran!». Cantava sulla musica di Barbara Ann dei Beach Boys.

 

L’unica grande obiezione all’esistenza di Dio è il dolore dell’uomo e delle cose, l’unica grande risposta è la croce di Dio in Cristo.

 

La vera teologia vive all’interno del mantello di Elia, fra fuoco e buio, estasi e dolore.

 

La vera teologia è Giacobbe sciancato dal cherubino notturno.

 

L’icona di questa teologia eliaca, notturna e solare insieme, è la Teresa del Bernini, la sua liquida resa al Dio geloso.

 

Non c’è mistica senza dolore.

 

Anche Dio è dolore. La croce rispecchia questa verità. Dio è dolore perché ama, se fosse possibile, al di sopra di Sé, con tutte le Sue forze, anche virtuali, se Dio conoscesse il non atto, l’incompiuto.

Dio è straziato dal Suo Sé, ne spezzerebbe i limiti identitari. Teso com’è a diventare per amore persino non Dio, come ha tentato con la creazione e specialmente con l’incarnazione.

 

L’unica obiezione all’esistenza di Dio è il dolore dell’uomo. L’unica risposta all’obiezione è il dolore di Dio.

 

Anche i miracoli del Cristo sono sottoposti alla legge dell’ambiguità. A essa sfugge, contro di essa confligge e vince solo l’amore folle, dis-identitario di Dio. Dio che strappa da Sé non la Suamaschera, ma la Sua pelle, la Sua natura.

 

La categoria del “sacrificio” ha senso soltanto all’interno dell’amore anti-identitario di Dio.

 

La Croce è il culmine dell’Incarnazione. Entrambe dilagano dalla Follia identitaria.

 

Nella consacrazione profetica, come evento eucaristico, implode il dono delle stimmate. Infatti lo stato eucaristico di Gesù è stato vittimale nel senso meno ovvio e più arduo, inerentemente alla follia essenziale di Dio.

 

Le stimmate sono conferite interiormente dalla Vittima silente, per esplodere in seguito pubblicamente e sancire così l’appartenenza del profeta alla dis-identità di Dio, del Cristo incarnato, crocifisso, risorto, misticamente crocifisso, eucaristizzato.

 

In questa luce le stimmate si sbanalizzano e diventano sacramento sui generis dell’amore dis-identitario di Dio e del Suo profeta. Diventano prolungamento eucaristico.

 

Chi le disprezza disprezza la Follia.

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